L’art. 19 comma 14 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, applicabile con decorrenza a partire dal 1° luglio 2010, modificando l’art. 29 della L. 52/1985, vi ha introdotto un nuovo comma 1 bis che così dispone:
“1-bis. Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.
Relativamente alla disciplina in parola si suole distinguere la prescrizione contenuta nella prima parte che mira a garantire la conformità oggettiva tra l’immobile oggetto dell’atto traslativo o divisionale e i relativi dati catastali e le planimetrie esistenti in catasto, c.d. “conformità oggettiva”, e quella contenuta nella seconda parte dell’articolo, relativa alla corrispondenza tra l’intestazione dell’immobile in catasto e quella risultante dai registri immobiliari delle “vecchie” conservatorie, c.d. “conformità soggettiva”, con accertamenti posti a carico del Notaio.
La norma in commento si propone la finalità, essenzialmente di natura fiscale, di favorire l’aggiornamento delle banche catastali per la realizzazione della anagrafe immobiliare integrata tra Catasto e Registri Immobiliari, attraverso l’imposizione di vincoli alla negoziazione di fabbricati non denunciati al Catasto ovvero non denunciati nella loro effettiva consistenza e mediante una specifica attività di comparazione, richiesta al Notaio rogante, in ordine alla titolarità dei diritti reali sugli immobili, tra le risultanze dei RR.II. ed i dati emergenti dai registri del catasto.
Le condizioni per l’applicabilità della normativa sono sinteticamente le seguenti:
a) Tipologia di atti: deve trattarsi di atti tra vivi aventi per oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali (tranne che di garanzia. La norma quindi deve essere applicata nel caso di atti traslativi o divisionali (compravendita, permuta, divisione, donazione, datio in solutum, transazione, conferimento in società, costituzione di servitù) riguardanti sia la piena che la nuda proprietà o una quota di comproprietà ovvero riguardanti ogni altro diritto reale (usufrutto, uso, abitazione, servitù, superficie, ipoteca); nel caso di costituzione di diritti reali (usufrutto, uso, abitazione, servitù – a differenza che nell’art. 46 dpr 380/2001 – , superficie);
b) Forma: deve trattarsi di contratti redatti nella forma di atto pubblico ovvero scrittura privata autenticata.
c) Oggetto: deve trattarsi di atti riguardanti fabbricati già esistenti, ed in particolare di unità immobiliari urbane (u.i.u.). Si ricorda che alla luce della vigente normativa (ed in particolare dell’art. 2645 bis c.c. e dell’art. 31 II c. L. 47/1985) un fabbricato può dirsi “esistente” quando di esso sia stato ultimato il rustico comprensivo delle mura perimetrali e sia stata completata la copertura. Tuttavia l’obbligo di richiedere l’accatastamento dell’immobile non si ha al momento della venuta ad esistenza dell’immobile come appena riferita, ma al momento, molto più avanti nel tempo, in cui il medesimo immobile è divenuto servibile all’uso cui è destinato (anche se non sia ancora munito del certificato di agibilità, ,ma comunque in uno stato costruttivo tale da richiedere il certificato stesso) e quindi dal momento in cui il medesimo è ultimato anche nelle finiture (e la denuncia di accatastamento deve essere presentata al più tardi entro 15 gg. da questo momento). Rimane tuttavia la possibilità di accatastare l’immobile anche prima di questo momento come “fabbricato in costruzione” con attribuzione della categoria catastale F3 (unità in corso di costruzione) o F4 (unità in corso di definizione), senza attribuzione di rendita catastale. In questi casi però (come pure nel caso delle altre categorie “fittizie” F2, unità collabenti, ed F5, lastrici solari) non vi è alcun obbligo di presentare la planimetria delle singole unità immobiliari ma solo il c.d. “elaborato planimetrico” (il quale indica l’edificio nel complesso e le parti comuni alle singole unità immobiliari) attraverso il quale le dette unità appartenenti alle categorie fittizie sono individuabili. L’obbligo di denuncia di accatastamento con presentazione della relativa planimetria ed attribuzione di rendita catastale sussiste quindi sono in caso di immobili ultimati ed in stadio tale da ottenere il rilascio del certificato di agibilità. Il riferimento ulteriore che la norma fa alle “unità immobiliari urbane”, all’interno del più ampio genus di “fabbricati esistenti” consente di restringere l’ambito di operatività della
norma agli immobili già iscritti al catasto edilizio urbano, nonché quelli per i quali sussiste l’obbligo di dichiarazione. Quindi: soli fabbricati esistenti ed idonei ad essere dichiarati agibili,
Rimangono invece escluse le unità (pur sempre “esistenti” per quanto si è detto) non idonee ad essere dichiarate agibili, ossia:
– le particelle censite al Catasto Terreni;
– tutti gli immobili delle categorie c.d. “fittizie”: F1 (aree di corte scoperte, giardini, orti, corti urbane), F2 (unità collabenti), F3 (fabbricati in corso di costruzione), F4 (fabbricati in corso di definizione), F5 (lastrici solari). In questo senso anche la Circolare dell’Agenzia del Territorio 2/2010 del 2 luglio 2010;
– i beni comuni non censibili (cioè tutte le parti comuni condominiali denunciate al Catasto mediante elaborato planimetrico);
– i beni comuni censibili (parti comuni condominiali per le quali sussiste l’obbligo di accatastamento mediante presentazione di planimetria e conseguente classamento, come ad esempio garage condominiale, cantina condominiale, alloggio del portiere) quando siano ex lege trasferiti unitamente all’u.i.u. negoziata in quota millesimale (e ciò sia nel caso che siano accatastati come beni comuni censibili, sia nel caso, frequente soprattutto per i vecchi accatastamenti, che siano accatastati in ditta ai singoli condomini pro quota con obbligo di voltura per il notaio); se invece detti beni comuni censibili sono negoziati separatamente (classico esempio è la vendita dell’alloggio del portiere effettuata separatamente dagli appartamenti condominiali da tutti i condomini) la normativa trova piena applicazione; sul punto si veda quanto concordemente precisato dalla Circolare dell’Agenzia del Territorio 3/2010 del 3 agosto 2010;
Discorso a parte meritano i posti auto scoperti: per quelli iscritti autonomamente in catasto sotto la categoria C/6 con deposito di apposita planimetria e attribuzione di rendita catastale la norma si applica senz’altro, trattandosi a pieno titolo di “unità immobiliare urbana”; se invece si tratta di posti auto scoperti condominiali, cioè posti in area comune condominiale e censiti come beni comuni non censibili o come beni comuni censibili (salvo quanto già sopra precisato a proposito dei beni comuni censibili in generale) non si applica la normativa in commento. Sulla tematica si veda, amplius, “La normativa in materia di conformità dei deti catastali (D.L. 78/2010)” del Notaio G. Rizzi.
Quanto alle aree scoperte di pertinenza di fabbricato urbano, autonomamente censite al Catasto terreni, ci si chiede se le stesse debbano essere denunciate al Catasto dei Fabbricati al fine di rispettare le prescrizioni della norma in commento ed in particolare per poter attestare che vi è conformità tra planimetria catastale e stato di fatto. In ordine a ciò vanno distinte le aree “pertinenziali” che in realtà costituiscono parte integrante del fabbricato e non sono separabili da esso e quindi prive di autonomia funzionale, da quelle, “pertinenziali” a pieno titolo le quali, pur sempre poste a servizio del fabbricato, sono dotate di propria autonomia funzionale. Ebbene, nel primo caso vi è un ineludibile obbligo di accatastamento unitamente all’unità immobiliare urbana cui accedono e di cui sono parte integrante con inserimento delle stesse nella planimetria catastale (ed in mancanza di ciò non potranno essere rispettate le prescrizioni del DL 78/2010); nel secondo caso le aree, in quanto dotate di una propria autonomia funzionale, possono rimanere censite “autonomamente” o al Catasto Terreni (ma allora non c’è applicazione ex D.L. 78/2010) con attribuzione di una propria rendita, o al Catasto Fabbricati e allora dovrebbe sussistere applicabilità del D.L. 78/2010.
Fabbricati rurali: benchè per i medesimi (con o senza requisiti di ruralità) esista un generale obbligo di accatastamento al Catasto Fabbricati, l’Agenzia del Territorio, in merito all’applicabilità o meno della disciplina in oggetto ha riconosciuto rilevanza alla circostanza che gli stessi siano o meno iscritti al Catasto Fabbricati (o ancora al Catasto Terreni) e non abbiano perso i requisiti di ruralità (cfr. ancora la Circolare 2/2010 del 9 luglio 2010). Nel primo caso (iscrizione al Catasto Fabbricati e perdita dei requisiti di ruralità) troverà applicazione la disciplina sulla conformità catastale; nel secondo caso (fabbricato ancora censito al Catasto terreni, che non abbia subito variazioni e che non abbia perso i requisiti di ruralità – circostanza non facile da accertare e che quindi dovrà opportunamente essere fatta risultare dall’atto mediante dichiarazione di parte – ) invece la norma non trova applicazione (anche se, per quanto detto, sussisterebbe il generale obbligo, anche in tal caso, di iscrizione al Catasto Fabbricati). Sulla tematica si veda, in questo sito, l’articolo sui fabbricati rurali e la conformità catastale.
Si ricorda che l’obbligo di aggiornamento della planimetria depositata in catasto non è previsto nel caso in cui si presentino difformità solo lievi e, più nello specifico, l’aggiornamento della planimetria sarà necessario solo in presenza di variazioni che incidano sulla consistenza, sull’attribuzione della categoria e della classe, ossia sulle “situazioni” dalle quali dipende la rendita catastale; ciò avviene, esemplificativamente, a seguito di interventi edilizi di ristrutturazione, ampliamento, frazionamento, oppure per effetto di annessioni, cessioni o acquisizioni di dipendenze esclusive o comuni, cambio di destinazione d’uso o in caso di interventi con cui si realizza una rilevante redistribuzione degli spazi interni, ovvero si modifica l’utilizzazione di superfici scoperte, quali balconi o terrazze.
Non assumono invece rilievo la variazione dei toponimi, dei nomi dei confinanti e di ogni altro elemento, anche di carattere grafico-convenzionale, non influente sulla corretta determinazione della rendita; non hanno, neppure, rilevanza catastale le lievi modifiche interne, quali lo spostamento di una porta o di un tramezzo che, pur variando la superficie utile dei vani interessati, non variano il numero di vani e la loro funzionalità.
La dichiarazione di conformità riguarda, come si è detto, gli elementi della consistenza, della categoria e della classe (quelli cioè idonei ad incidere sulla rendita catastale); non riguarda, invece, gli altri dati catastali quali: Comune, eventuale Sezione, Foglio, particella numero mappale, eventuale subalterno: si tratta dei dati che attengono alla identificazione catastale delle unità immobiliari, oggetto di specifica ed autonoma menzione, a pena di nullità dell’atto, per i quali, peraltro, non è neppure concepibile una valutazione di conformità con lo “stato di fatto” e per i quali non può nemmeno porsi un problema di incidenza su consistenza o classamento; anche per quanto concerne l’indirizzo ed il piano vale la stessa conclusione: si tratta di dati che non incidono su consistenza o classamento e che hanno un valore puramente “informativo”: pur in presenza di inesattezze di tali dati sarà comunque possibile negoziare l’immobile; l’identificazione, ai fini catastali, è assicurata dal numero mappale e dall’eventuale subalterno.
Anche un eventuale errore materiale nella descrizione dei dati catastali non influisce sulla validità dell’atto se ed in quanto tale errore non sia tale da ingenerare incertezza circa la individuazione del bene negoziato. In questi casi sarà sufficiente un atto di rettifica dei dati catastali per rimediare all’errore commesso.
Con riferimento alla dichiarazione mendace deve ritenersi che essa non possa determinare la nullità dell’atto: la nullità prevista dalla norma in commento è una nullità puramente “formale”, legata al mancato rispetto del requisito redazionale dell’atto, e non anche una nullità sostanziale, come è confermato dal fatto che tale nullità non è prevista per tutti gli atti negoziali ma solo per gli atti negoziali che rivestano, per l’appunto, la forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata.
Studi di sicura utilità sul tema sono: “Allineamento catastale e registri immobiliari” a cura del Notaio G. Petrelli e “La normativa in materia di conformità dei deti catastali (D.L. 78/2010)” del Notaio G. Rizzi.
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